storia del volo (parte 3)
Scritto dall’architetto Piero Camillo Tucci
Senza per questo peccare di sciovinismo, è giusto riconoscere che agli inizi della storia del volo si trovano due nomi entrambi italiani: quelli di Leonardo e del padre gesuita Francesco Lana- Terzi. Qust’ultimo, con il progetto del “battello aereo” sostenuto da quattro globi di rame (dentro i quali si doveva fare il vuoto) che descrisse nel 1670 in un trattato intitolato Prodromo, aggiunse a quella di Leonardo una macchina volante che il genio toscano non aveva trattato.
E lo fece con uno spirito che stava a metà fra il sogno romantico e la previsione scientificamente fondata, gettando basi teoriche sulle quali poco più di un secolo dopo i fratelli Montgolfier avrebbero costruito il trionfo del primo volo umano con un “più leggero dell’aria”. Nel grande solco aperto dai Montgolfier si inserivano aeronauti di diverse nazionalità.
E qui tornano ancora nomi italiani: da quello del milanese conte Paolo Andreani che il 25 febbraio1784 realizzò nella sua città natale la prima ascensione in pallone registrata fuori dei confini della Francia, all’altro di Tiberio Cavallo, che sperimentò il riempimento degli involucri con un gas leggero come l’idrogeno (allora di recente scoperta), in luogo dell’aria calda. A questo punto, nel capitolo del “più leggero dell’aria” che ha aperto la storia dell’aviazione si inserisce un personaggio che, se non aveva nulla dello scienziato o del teorico, fu in compenso caricato da un entusiasmo che lo portò ad essere uno dei maggiori propagandisti in Europa della diffusione del nuovo mezzo aereo.
Si tratta di Vincenzo Lunardi, un ufficiale dell’esercito napoletano ma toscano di nascita (a Lucca, 1’11 gennaio 1759). Oggi, probabilmente lo avremmo definito un playboy ma fu a quel playboy nato nel “secolo dei lumi” che si dovette la prima ascensione aerostatica compiuta su suolo inglese.
L’avventura cominciò quando Lunardi, inviato a Londra come segretario del principe Caramanico, allora ambasciatore del re di Napoli alla corte di San Giacomo, si infiammò di improvvisa passione per le imprese dei primi aerostieri. Dimenticata la diplomazia, cominciò così una carriera che avrebbe fatto di lui una specie di bamstormer avanti lettera: un precursore di quei “piloti girovaghi” che negli anni Venti del Novecento avrebbero girato gli Stati Uniti propagandando l’aeroplano come mezzo di trasporto e veicolo per esibizioni spericolate.
Con l’aiuto finanziario di un ricco inglese, tal mister George Biggin, si costruì un pallone in seta spalmata di vernice impermeabilizzante, che venne gonfiato con idrogeno. Il pallone, di oltre 9 m di diametro, era coperto da una rete di corda che nella parte inferiore reggeva una navicella munita di ali e remi. Il 15 settembre 1784, sotto gli occhi di una folla valutata in centomila persone da qualche cronista probabilmente portato un po’ all’esagerazione, il pallone era pronto per l’ascensione nella spianata londinese dell’Artillerie Ground. Nella navicella presero posto Lunardi, Biggin e una sua arnica (ma, dice qualche pettegolo cronista del tempo, più amica di Lunardi che di Biggin), certa signora Sage: una giunonica bellezza di circa 90 chili.
Il peso eccessivo obbligò però i due passeggeri a scendere;e il pallone, con il solo Lunardi a bordo (più qualche animale), potè finalmente innalzarsi nel cielo inglese raggiungendo una quota tale che, quando un’ora e mezzo dopo scese presso Ware, Lunardi “aveva addosso pezzetti di ghiaccio” (come scrisse il “Morning Post”). L’anno successivo, Lunardi compiva, con o senza Biggin e la Sage a bordo, altre ascensioni su suolo inglese, arrivando a coprire in volo fino a 260 Km. Poi, nel 1788 tornava in Italia per mietere altri trionfi. Il 17 giugno di quell’anno tentava una prima ascensione a Lucca sotto gli occhi di una gran folla e di tutta la famiglia granducale di Toscana ma l’impresa abortiva a causa della rottura dell’involucro. Sfortunata per altri motivi era una successiva ascensione a Roma.
Ma nel settembre 1789, Lunardi si rifaceva delle delusioni con una trionfale ascensione nel cielo di Napoli, al cospetto dei locali reali Ferdinando IV e Maria Carolina. Arrivato, come scrisse in una relazione,”a circa miglia tre e mezzo d’elevazione”, Lunardi constatò che il termometro di bordo “marcava 34° di Fahrenheit, corrispondendo a lo di Rèaumur, cioè una linea prima della congelazione”. Allora, “principiando ad avere freddo, e bisogno di confortarmi lo stomaco, aprii il canestrino delle provvisioni, mandatomi dalla mia rispettabile amica la signora Morichelli”. E cosi, senza saperlo, Lunardi anticipò anche i tempi del vassoietto a bordo degli aerei di linea. Scese vicino a Caserta e tornò in carrozzino a Napoli, per il meritato trionfo. In due successive ascensioni, fini in mare, a Capri e a Palermo; ma in entrambi i casi fu raccolto incolume. Passò poi in Spagna, dove fra il 1792 e ill 1793 compi diverse ascensioni, anche qui con concorso di folla e di reali.
Successivamente compi ascensioni in Portogallo e – pare – anche in Polonia. Ma a questo punto, intorno al 1798, ebbe inizio un misterioso periodo nel corso del quale di Lunardi si persero le tracce, tanto che anche la sua morte rimase avvolta in un velo oscuro.
Si seppe di certo che mori nel 1806, ma non si sa bene dove. A Genova, si disse in un primo tempo; ma poi, da un dispaccio della “Gazzetta di Lisbona” del 15 agosto 1806, riesumato da uno studioso, risultò invece che Lunardi sarebbe morto nella capitale portoghese. L’unica altra cosa certa, comunque sia, fu che il singolare “playboy-aeronauta” morì nellapiù nera povertà, così come era vissuto fra onori e denaro (e donne), portando tuttavia un suo indiscutibile contributo alla storia del volo